venerdì 8 marzo 2013

Auguri a tutte le donne







Oggi per celebrare tutte le donne voglio segnalarvi la storia di una piccola grande donna che ho letto sul manifesto, auguri a tutte.


La Cassandra della Catalunya: Teresa Forcades y Vila, una suora rivoluzionaria

Di Andrea De Lotto | 06 marzo 2013

La sua fama esplode improvvisamente del 2009. Lei in quel periodo aveva già scritto testi interessanti: “I crimini delle grandi compagnie farmaceutiche” nel 2006, “La teologia femminista nella storia” nel 2007. Ma ben pochi la conoscono. Teresa Forcades y Villa (nata a Barcellona nel 1966), monaca benedettina dal 1997, laureata in medicina e teologia, ha studiato in Catalunya e negli Stati Uniti e ora risiede nel monastero di San Benet, ad una cinquantina di chilometri da Barcellona.
Nell’estate del 2009 scoppia l’allarme per l’influenza A, i titoli dei giornali sono cubitali, il rischio di epidemia, se non di pandemia, dicono essere grande, è il periodo in cui negli aereoporti si vedono tante persone con la mascherina sul volto, nelle scuole viene detto di lavarsi le mani col disinfettante, dai ministeri si ordinano le vaccinazioni….
In quelle settimane le viene chiesto da una direttrice di una scuola, di studiare il caso per darle qualche indicazione più precisa su che fare con insegnanti e allievi. Teresa si mette a studiare credendo di cavarsela in un fine settimana, ma mano a mano che approfondisce il tema scopre una realtà sempre più incredibile. L’inganno è colossale, il business che ci sta dietro, pazzesco e, l’Organizzazione mondiale della sanità di fatto è complice delle grandi industrie farmaceutiche che impongono un vaccino non risolutivo. Teresa si confronta con colleghi medici e professori, che le danno ragione. Ora lei ha il problema di comunicare questo che lei ha capito. E’ l’imperscrutabilità del destino che l’aiuta.
Due signore al termine di una sua conferenza a Barcellona la avvicinano e le chiedono se possono farle una breve intervista, stanno raccogliendo testimonianze sulla vicenda dell’influenza. Teresa acconsente, credendo di passare loro un testo di 4-5 pagine che ha preparato. In realtà quelle arrivano al monastero, a sorpresa, con una videocamera. Teresa si prepara e inizia un discorso che alla fine, preciso, puntuale, chiaro, dura più di un’ora. Alla sera le due donne le propongono di metterlo in rete così com’è, è troppo importante quello che lei ha detto e come lo ha detto.
Era quello che Teresa in fondo sperava, diffondere queste sue “scoperte”. Quello che succede nelle settimane successive è potente: le visioni crescono di settimana in settimana, fino ad arrivare ad un milione e duecentomila visitatori. Per chi vuole saperne di più c’è il video sottotitolato in italiano.
Diventa un caso importante. A quel punto tutte le sue posizioni fino ad allora rimaste in sordina diventano provocazioni che allarmano una parte, ne accendono un’altra. Pur con la sua serenità, pacatezza, ma grande capacità di analisi e documentazione Teresa critica il clericalismo e il maschilismo della chiesa cattolica, difende i diritti delle donne anche sul terreno scivoloso del l’aborto, denuncia il sistema capitalistico ricalcando le parole di Ziegler; rivendica una chiesa dalla parte dei più deboli, dei più poveri, sostiene le lotte che di lì a poco sorgono nelle piazze degli indignati, si spende in incontri, dibattiti, a fianco di chi lotta per il diritto alla casa, della sanità pubblica e di qualità, contro ingiusti licenziamenti, contro un sistema che giudica produttore sistematico di miseria.
In più di un’occasione la sala dove avviene l’incontro non è sufficiente e il dibattito si sposta nella piazza attigua con impianti voce improvvisati. Nel frattempo Teresa conosce sempre meglio un sistema di disinformazione, quello dei grandi mass media, che, senza la spinta dal basso, l’avrebbero assolutamente ignorata, e che ora non possono fare a meno di coinvolgerla, ma in più di un’occasione denigrandola, come quando, per esempio, un giornalista di un prestigioso quotidiano mette in dubbio il fatto che lei sia medico. Sono anche le sue parole, pacate ma ferme, in difesa della rivoluzione bolivariana in Venezuela, che Teresa ha potuto conoscere direttamente, che suscitano volgare scalpore da parte di alcuni grandi media.
Ma è sul piano della difesa della sanità pubblica che Teresa Forcades si spende di più: ha conosciuto dall’interno il sistema sanitario statunitense e ne conosce le feroci contraddizioni. Ora i rischi che lei vede sono generali: con la scusa della crisi si sta smantellando il welfare europeo costruito in secoli di lotte.Politiche economiche, ordini dei vertici mondiali, stanno dettando questa distruzione, trasformando la sanità in una merce, colpendo i più deboli.
Quando a Barcellona nel mese di dicembre scorso viene occupato uno degli ospedali più grandi della città, il San Pau, Teresa va a sostenerli. Già nel giugno del 2007 che in una lunga intervista alla tv pubblica catalana che Teresa aveva ribadito il fatto che il capitalismo non è etico, e propose una possibile via d’uscita per un cambio radicale in Spagna: uno sciopero generale indefinito che metta tutto in discussione e una nuova assemblea costituente per ripartire. Il suo modello è un po’ l’Islanda, luogo di cambiamento avvenuto, luogo dove le strasformazioni sono possibili.
Quando nel settembre la piazza di Madrid decide di accerchiare il parlamento, lei li sostiene e per coerenza, mi racconta, vorrebbe andare, sono le sue consorelle che non la lasciano. Le manifestazioni terminano in scontri, pestaggi della polizia che insegue le persone nei bar, nei passaggi della metropolitana. Teresa denuncia la violenza poliziesca.
Infine, il tema dell’indipendenza catalana. Anche su questo Teresa Forcades prende posizioni chiare: è a favore dell’indipendenza, dice che è un diritto, quello del popolo catalano, di decidere se autogovernarsi. Ma, come sostiene al termine di un grande incontro sulle forme di lotta del movimento, che “l’indipendenza della Catalunya non sia finanziata da la Caixa!” (il potente braccio finanziario della grande borghesia catalana). E’ seguito un lungo applauso.


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